Ieri ho iniziato a leggere “La morte di Pitagora”, il libro che un amico ha scritto in prigione. È un libro senza i numeri di pagina, pieno di refusi perché Jules (nome inventato) non riesce a rileggere i libri che scrive. Ed è un libro che forse contiene imprecisioni storiche, perché spesso per le date e i nomi può consultare solo i suoi ricordi. Scrive ad esempio: “Del viaggio in Egitto ne parla, soprattutto, Porfirio, se il mio ricordo non vacilla, nella sua Vita di Pitagora, che possiedo a casa ma non posso portare in carcere perché è un libro con copertina rigida e come tale espressamente vietato dal regolamento carcerario. Vado quindi a memoria.”.
Il caso ha voluto che iniziassi a leggere “La morte di Pitagora” subito dopo aver letto “Lo straniero” di Camus (premio Nobel per la Letteratura nel 1957), in cui il protagonista viene arrestato e racconta in prima persona i propri pensieri dal carcere. È un libro meraviglioso “Lo straniero”, e appena l’ho finito ho pensato che non avrei saputo trovargli un difetto. Ora penso che abbia il difetto di non avere difetti. L’ho scritto a Jules e lui mi ha raccontato della sua casa in Provenza, non lontana da dove ha vissuto Camus e dalla quale gli pare di vedere Giulio Cesare, i papi e Camus giocare insieme alla morra. Però ha scritto “CEsare”. Forse Jules non vincerà mai il premio Nobel, ma io non cambierei una sola lettera di ciò che scrive.
Raffaella Mulas
(Oscurologa di Aristan)
COGLI L’ATTIMO
da Le mie prigioni (1968) sceneggiato televisivo della RAI diretto da Sandro Bolchi. Silvio Pellico è interpretato da Raoul Grassilli