Sembra che il figlio di Gabriel Garcìa Màrquez si sia idealmente rivolto al padre, raccontandogli che non passa giorno senza che si imbatta in una citazione del suo romanzo “L’amore ai tempi del colera” o in un gioco di parole con il suo titolo. Nessun vuole spremere le meningi, al tempo del coronavirus. La clausura pandemica ha messo in risalto la sciatteria del mondo iperconnesso: parole e numeri sparati a caso da stanze virtuali. Così si va da dagli imbuti di Norimberga col tappo alla precisazione di quanti infetti ti devono starnutire addosso contemporaneamente (se l’indice si abbassa molto potrebbero occorrerne anche cinquanta) perché ti possa ammalare. Più esperti si interpellano più confusa è la comunicazione, ed ecco che dal caleidoscopio dei pareri spuntano la patente di (quasi) immunità o il certificato di (forse) negatività. La lingua spagnola si presta come nessun’altra allo svaccamento. È solo in Italia che i vigilantes e i murales esistono esclusivamente al plurale. Così con la fine delle costrizioni è prepotentemente riemersa “la movida”, con buona pace dei madrileni che la inventarono all’inizio degli anni ottanta. La movida fu soprattutto un movimento culturale, la libertà che rinasceva sfrenata (da Pedro Almodovar a Joaquin Sabina) dalle ceneri del franchismo dopo quarant’anni di dittatura. Ora invece ci si riduce a chiamare “movida” qualsiasi ammucchiata mangia e bevi orfana del rito dello spritz con apericena, dove la maggiore delle trasgressioni è la fetta di limone nel gin-tonic. Tutta gente che la patente di immunità ce l’ha di diritto, basta essere “giovani”, come hanno detto gli esperti, prima che cambiassero opinione. Non esiste nella movida nostrana nessun movimento, né fisico né culturale: si resta fermi davanti a un bar con una birretta in mano, come gatti dai piedi di cemento o cozze attaccate a uno scoglio. La movida, quella vera, era un’altra cosa.
Marco Schintu
(Ufficio pesi e misure di Aristan)
“La movida fu soprattutto un movimento culturale, la libertà che rinasceva sfrenata (da Pedro Almodovar a Joaquin Sabina) dalle ceneri del franchismo. Ora invece ci si riduce a chiamare “movida” qualsiasi ammucchiata mangia e bevi orfana del rito dello spritz con apericena” (da LA FINE DELLA MOVIDA – Editoriale di Marco Schintu)