Senza la costrizione di stare in casa due mesi forse non avrei mai letto il gesuita francese Francois Varillon (1903-1978), fino a oggi solo un nome che mi aveva incuriosito per l’etichetta di “teologia poetica” affibbiata alla sua opera. Avendo comprato anni fa (e messo a riposo su uno scaffale) “Traversate di un credente”, dopo averlo sfogliato nel risistemare la mia libreria ho scoperto aforismi fulminanti, con giudizi acuti su Claudel e Baudelaire; l’ho letto tutto e si è illuminato un percorso di fede insieme attualissimo e universale. Varillon parte dalla poesia perché “solo i poeti ci avevano parlato di gioia. I preti, no, o molto poco, o in modo così artificiale. Su tutto ciò che, poco o tanto, riguardava la religione, avevamo l’impressione che vi fosse disteso come un velo di lutto”. Sull’esempio di alcuni predecessori gesuiti, ci pensa Varillon a squarciare questo velo e a renderci partecipi dell’incandescenza della conversione. “Quando parlo di incandescenza, intendo la poesia come tale, ossia la presa sul mondo reale”: così “Gesù fu un grande poeta, il più grande”, e, per fare presa sul mondo reale, occorre ricordare che “l’esperienza è l’essenziale, il punto di partenza di tutto”. Allergico alle astrazioni, il pensiero di Varillon origina dalla passione (“nel senso di amore appassionato della vita e nel senso di sofferenza”), si nutre di intuizione (“vivo più di intuizione che di intelligenza…un lampo”) e si alimenta della convinzione che “compito dell’uomo è fare l’uomo…di fare in modo che l’uomo sia, perché l’uomo non è cosa fatta. Un mondo già fatto sarebbe un mondo di cose”. Invece “l’uomo è insieme natura e libertà. E’ essenziale, per la libertà, doversi creare essa stessa. Dio non crea l’uomo libero. Dio fonda la possibilità, per l’uomo, di creare la propria libertà”. E la creazione di se stessi consiste nelle decisioni che prendiamo: “la presenza di Dio sta nell’intimo della nostra libertà, dunque delle nostre decisioni; sono le nostre decisioni che ci costruiscono” e “ogni decisione importante è una morte”. Impossibile sintetizzare in poche righe il percorso filosofico di un credente così profondamente colto e intelligente, tanto estraneo ai sermoni edificanti da mirare sempre all’essenziale (“e se mi viene proposto un tema più o meno marginale, faccio sempre in modo da tornare all’essenziale”). Nel centenario della nascita di Karol Wojtyla, papa poeta, voglio solo segnalare le splendide pagine sul Dio che soffre (“forse uno scandalo per la ragione, ma la realtà di un Dio impassibile è rivoltante per il cuore, che ha le sue ragioni”), sulla Provvidenza (“non più colei che provvede ai nostri bisogni egocentrici, ma come colei che introduce all’unica felicità che sia degna dell’uomo, la felicità di amare e di morire per coloro che amiamo”), sulla necessità della rivolta (“la rivolta non è la bestemmia, così come la fede non è la rassegnazione. Bisogna anzi sospettare di chi non abbia mai avuto la tentazione della rivolta”), sul male, dove dà ragione a Nietzsche (“in Dio vi è un inferno, ed è il suo amore per gli uomini”), sull’inferno come dannazione (ma “nessuno sa se vi sono dei dannati”) e sull’amore come libertà, sull’arte di vivere e di morire e sulla speranza per tutti: “Io spero per tutti gli uomini, senza eccettuarne neppure uno, fosse anche un mostro di fronte all’universo; spero anche per Dio. Prego Dio per tutti; lo prego anche per Lui”.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote di Aristan)
LA VERA TEOLOGIA E’ LA POESIA – Editoriale di Fabio Canessa