LE MUTANDE DEL CORRISPONDENTE DI GUERRA


Editoriale del 9 Settembre 2013

Solitamente le mie mutande sventolano al quarto piano dell’appartamento di via Cortoghiana n° 38, quartiere di Is Mirrionis, Cagliari. Cenci da poco, li compra mia madre nel mercato rionale di via Quirra. Irrigidite per il troppo sapone sentono il lamento del marmocchio che ha disgusto per il caffellatte, i vagiti dei gatti in calore al meriggio e le preghiere oscillanti dei senegalesi quando viene l’imbrunire. E’ un interno dall’architettura caotica e sciatta, piccoli feudi di cemento memori della campagna del boom economico. Ho portato in viaggio sedici mutande. Hanno fiottato fiere a Beirut, via Charles Helou, vibrando sul porto che vide la fuga pavesata a trionfo di Arafat e il primo grande scatto del giovane Biloslavo. A Tripoli si sono riempite dell’odore povero e rotondo del riso, nelle camerate dove i transfughi siriani attendono che l’incubo della storia abbia fine. A Baalbek, dalle ringhiere del balcone, hanno gareggiato in tracotanza con il passaggio di Alessandro Magno, le costruzioni di Cesare e le resistenziali bandiere di Hezbollah. Le lavo e frego con ciò che passa, solitamente bagnoschiuma. Ad Amman le ho date a malincuore in lavanderia. Ma con mia grande sorpresa sono finite a rilucere nella via principale, davanti al grande teatro voluto dall’imperatore romano Antonino Pio. Schierate in verticale sembravano la vela di una miserabile e ostinata nave pirata. Mentre scrivo si gonfiano alla brezza dalle sbarre di Shuhada street, Hebron, Palestina. La città è divisa fra ebrei ultraortodossi e arabi. Da ovest arriva la trascendenza del muezzim. Ascoltano la quieta nenia che filtra dalle altre sbarre, quelle della sinagoga prospicente, dove i penitenti compitano il Signore oscillando sui banchetti. È il sabato di preghiera e riposo. Le avevo infilate nelle scimitarre patacca che pencolano sul soffitto della mia stanza. Ma dopo mezza giornata erano ancora umide. Gli dei non se ne avranno a male. Ognuno ha la sua religione. La mia, per me, è la strada.

Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)

COGLI L’ATTIMO

 

Il paradiso dei calzini di Vinicio Capossela è tratta dall’album SoloShow Alive del 2009

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