L’UOMO CHE RESE POPOLARE LA DISPERAZIONE


Editoriale del 4 ottobre 2018

“Mamma, sai chi è morto? È morto Aznavour!” avrei detto ieri rivolgendomi a mia madre, coetanea del più sciropposo dei cantanti e sua grande ammiratrice, scomparsa però ben prima di lui. E mia madre, lo so per certo, avrebbe pianto. Le canzoni di Aznavour hanno attraversato un secolo e hanno incrociato tutti i gusti e tutti i generi musicali. La sintesi migliore della sua opera la fece forse il regista Jean Cocteau: “Prima di Aznavour, la disperazione era impopolare”. Aznavour ha cantato il dolore e il rimorso, la depressione postcoitale, l’amarezza di un marito per l’aspetto della moglie, l’omosessualità, i problemi alla prostata di un ubriacone di mezza età. Con una voce che non aveva niente da invidiare a quella di Frank Sinatra. “La mamma” però, nel catalogo sterminato delle sue canzoni, resterà uno straziante insuperabile capolavoro del kitsch, tra pianti a dirotto, avemarie e singhiozzi al capezzale della madre morente: “Tutti i bambini sono là, intorno a lei che se ne va…”. Mammina mia, quanto mi manchi!

 

Marco Schintu

Ufficio pesi e misure di Aristan

 

La mamma” però, nel catalogo sterminato delle sue canzoni, resterà uno straziante insuperabile capolavoro del kitsch… (da L’UOMO CHE RESE POPOLARE LA DISPERAZIONE, editoriale di Marco Schintu)

 

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