«Il perdono è il profumo che emanano i fiori dopo essere stati calpestati».
Leggo questo proverbio sufi in un breve racconto-diario di Youssou, fuggito dal Senegal in cerca di un futuro, passato senza fortuna in Belgio e Francia, poi “venditore di successo” di accendini nel bergamasco, fino al ricongiungimento con Fatima, la moglie, con Modou, il figlio, diventato il primo avvocato dell’ordine forense in Lombardia, e con la figlia, Awa, oggi affermata ingegnere. «Una storia incredibile, direi quasi fondativa, di quelle che creano speranza per il futuro», dice Saviano nella fascetta (Francesca Fialdini, Il sogno di un venditore di accendini).
«Il perdono è il profumo che emanano i fiori dopo essere stati calpestati»:
e continuo a chiedermi perché questo proverbio mi trattiene. Sospetto dei proverbi: si citano a convenienza, più che a verità. Questo invece mi lascia a ricordare. Alcuni fiori hanno profumo, altri no. E a quelli che ne hanno, basta una carezza a profumare. E mi porta ancora indietro la domanda, perché chi professa fede di perdono ha più piedi a calpestare, che petali e pistilli a profumare.
Ma poi ritorno al testo, che continua: «Mi sembrava di tornare a sentire il profumo intorno a me». E mi chiedo se il profumo è del fiore soltanto, o anche della mano che ha imparato a carezzare.
E mi ricordo del proverbio antico (Proverbi, 27,19):
«Come le acque, faccia a faccia,
così gli umani, cuore a cuore» (trad. mia).
Tra profumi e riflessi,
non c’è altra via a scoprirsi.
Antonio Pinna
Salmista ad Aristan
Youssou, fuggito dal Senegal in cerca di un futuro, passato senza fortuna in Belgio e Francia, poi “venditore di successo” di accendini nel bergamasco, fino al ricongiungimento con Fatima, la moglie, con Modou, il figlio, diventato il primo avvocato dell’ordine forense in Lombardia, e con la figlia, Awa, oggi affermata ingegnere (da Salmo 128 TRA PROFUMI E RIFLESSI, editoriale di Antonio Pinna)
