Il piacere più intenso del viaggiare non consiste nel visitare posti nuovi, ma nel tornare in quelli dove siamo già stati. Così come ci godiamo davvero la musica e la poesia non al primo ascolto o alla prima lettura, ma riascoltando e rileggendo i medesimi suoni, fino a saperli a memoria. Se l’esperienza dei luoghi, delle melodie o dei versi non si deposita dentro di noi, se la nostra anima non aderisce ai dati esterni e non fa suoi quei fenomeni, se la percezione rimane superficiale ed effimera, si rischia di fare la figura di quei dongiovanni che si vantano di aver scopato decine di donne di cui non ricordano neppure il nome. Ogni volta che sento qualcuno compiacersi di aver girato il mondo e di aver visto tutti i musei (ma non saprebbe distinguere Giotto da Caravaggio), di aver letto centinaia di libri (senza ricordarsi chi ha scritto uno di essi), di ascoltare un po’ di tutto alla radio (ma è incapace di collegare Mozart o i Rolling Stones a un loro brano musicale), mi viene in mente Emilio Fede in una memorabile edizione elettorale del Tg4, quando con troppo ottimismo aveva riempito la carta geografica di bandierine di Forza Italia e, man mano che si aggiornavano i dati, fu costretto a toglierle quasi tutte perché vinse Prodi. Del vano viaggiare dei turisti sciatti sono straziante emblema le scolaresche che ogni giorno sciamano per il Louvre o gli Uffizi. Uscendone con gli occhi vuoti e i piedi gonfi. Perché vediamo solo quello che conosciamo già.
Fabio Canessa
COGLI L’ATTIMO
da Totò a colori (1952) diretto da Steno, con Totò