UNA MADRE


Editoriale del 21 aprile 2014

Non conosceremo mai la forma del dolore che ogni mattina al risveglio piega il mondo della madre di Abdollah. Se tutti gli oggetti e i volti e le parole e perfino la polvere e il vento sono attraversati da un ago invisibile. O se l’ombra che il sole impietoso scioglie dai muri delle case di Royan, provincia di Mazandaran, Iran, è un’allucinazione che rimane a contemplare a lungo mentre il paese sfila in un brusio lontano. Sette anni fa suo figlio camminava per il bazar quando Balal prese a dargli noia. Abdollah reagì con un calcio, Balal con un coltello. Sette inverni dopo Balal ha vent’anni e siede con un cappio al collo su una seggiola che la madre di Abdollah ha il compito di scostare, prendendogli la vita in una nemesi dell’orrore e applicando la giustizia voluta dalla rivoluzione di Khomeini nel 1979. Si chiama qisas, la retribuzione secondo la Sharia. L’esecuzione è pubblica e la catarsi è nella gola di tutti. Insieme a Cina e Iraq l’Iran è il paese dove ogni anno più uomini vengono uccisi dallo stato. Ma la madre di Abdollah si avvicina a Balal, lo guarda, e fra le lacrime e le urla gli stampa un ceffone sul viso, interrompendo il cerchio della morte e facendosi dio per un attimo nella punizione di ciò che nell’infinità del tempo è una marachella dell’uomo peccatore. Il padre, Abdolghani Hosseinzadeh, si avvicina a levargli la corda dal collo. “Tre giorni fa Abdollah è apparso in sogno a mia moglie, dicendole di trovarsi in un bel posto e chiedendole di abbandonare la vendetta”. Era in compagnia di suo fratello, morto qualche anno prima disarcionato da una motocicletta. La madre di Abdollah raggiunge la madre di Balal. E il loro pianto comune è un mistero precluso agli uomini e alle loro leggi.

Luca Foschi
(Inviato di guerra da Aristan\ Aristan’s war correspondent)

COGLI L’ATTIMO

 

Foto racconto dell’episodio dalla BBC:

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