“Tutto quello che non so, l’ho imparato a scuola”, diceva Ennio Flaiano. Tutto quello che sa il giovane Wolfran, l’ha imparato sulla strada per arrivare a scuola: le piante, gli animali, le pietre. Lungo le tre strade percorse ogni giorno per andare prima alle elementari, poi a un istituto privato, infine al ginnasio, il ragazzo si ferma a contemplare il folto dei cespugli, la riva del lago, i gigli della palude, le spighe dei canneti, le carpe che si vedono dal ponte, la ghiaia splendente. Poi, giunto a scuola, uno schifo: l’affanno per il ritardo, l’agitazione che gli fa sbagliare classe e a volte addirittura piano, il sadismo di un professore di matematica frustrato, la sprezzante ostilità di un filologo ottuso. Non si pensi però che Wolfran sia la vittima fragile e imbranata di un rigido sistema scolastico; è al contrario un tipo inquieto, aggressivo con i compagni e capace di brusche intemerate con i disprezzati insegnanti. Dotato di intelligenza e memoria, ma di quelle “proprie di un palato fino. Recepiva solo ciò che gli riusciva gradito – poi però lo serbava assai per bene”. Nauseato dal mondo degli adulti, è attratto da quello della natura, che sente come suo. Lettore appassionato e attento osservatore e ascoltatore, Wolfran è “incline alle fantasticherie”, perso nei suoi sogni, perennemente assonnato durante le lezioni. L’indole trasognata diventa patologica quando un giorno rimane imbambolato in mezzo alla strada, rischiando di finire sotto un tram. È solo la prima delle sue “absence”, “un’assenza, una lontananza che ti porta via. Ma da che cosa? Da dove che sia, ci resta un vuoto. In quello spazio svuotato, poi, non solo si affollano i pensieri, ma anche una ridda di figure”. Il piccolo Wolfran è infatti l’alter ego di Ernst Junger (1895-1998) da giovane e questo romanzo autobiografico, “Tre strade per la scuola”, scritto a novant’anni da uno scrittore che sarebbe morto ultracentenario, è insieme una “vendetta tardiva”, come dice il sottotitolo, contro il conformismo scolastico che gli aduggiò l’infanzia, ma anche la nascita di una vocazione letteraria. Che, paradossalmente, non sarebbe nata senza la scuola. Il cui compito sarebbe proprio quello di rivelare una vocazione. Attraverso quale strada, non importa.
Fabio Canessa
preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan
COGLI L’ATTIMO
da Vado a scuola (2012) di Pascal Plisson