VENEZIA È DONNA


Editoriale del 14 settembre 2021

La Mostra di Venezia ha avuto lo stato di grazia, secondo il giudizio pressoché unanime di pubblico, critica e cinefili sparsi, di una selezione tra le migliori della sua storia. E sicuramente tra le più varie, confermando quello che Giovanni Grazzini scriveva trent’anni fa, cioè che il bello del festival del Lido è che ogni giovanotto ci trova pane per i suoi denti e ogni vecchietto per la sua dentiera. Solidissime opere mainstream, quei bei filmoni di una volta come il francese “Le illusioni perdute” tratto da Balzac, e operazioni sperimentali da ricerca alternativa come “America Latina” dei fratelli D’Innocenzo, film politici di denuncia sociale come “Un altro mondo” e affreschi storici come “Spencer” di Larrain, e poi commedie comiche (“Competizione ufficiale”), horror (“Mona Lisa and the blood moon”), thriller, il nobilissimo biopic di Martone “Qui rido io” su Eduardo Scarpetta e così via. Tutti con l’ambizione di dare il meglio di sé, a volte riuscendoci, a volte col rischio di strafare e svaccare, però impegnati a sbizzarrirsi nel perfezionare o rinnovare il linguaggio delle immagini, come il nostro Mainetti col bizzarro “Freaks out”. Nisba. La giuria se n’è fregata della forma e ha badato al contenuto: spinta forse anche dalla tragedia della condizione femminile in Afghanistan, ha premiato ‘ndo cojo cojo ovunque ci fossero donne.
Leone d’Oro alla regista esordiente Audrey Diwan per il film tratto dall’autobiografia di Annie Ernaux nella quale la scrittrice racconta il calvario del suo aborto clandestino nei bigotti e proibizionisti anni Sessanta (e tutti a spellarsi le mani dagli applausi per il coraggio di aver girato un film abortista, quando invece il coraggio oggi ci vorrebbe casomai per girare un film antiabortista): “L’evento” è tecnicamente, secondo quasi tutti i critici, un film medio senza particolari meriti o demeriti. Leone d’Argento alla regista Jane Campion per “Il potere del cane”, un western che sferza il mondo maschilista e violento dei cowboys, per fortuna temperato dalla protagonista Kirsten Dunst. Migliore sceneggiatura alla regista esordiente (ma attrice di prima fila) Maggie Gyllenhaal per “La figlia oscura”, tratto dal romanzo di Elena Ferrante che racconta i travagli di essere madre nella società odierna: lodevoli le intenzioni, ma è stato in assoluto il film più stroncato della Mostra, non si trova un pellegrino a cui sia piaciuto. Coppa Volpi per l’interpretazione alla Penelope Cruz di “Madri parallele” di Almodóvar, un’amicizia tutta al femminile tra due neomamme conosciutesi in sala parto. Il futuro è donna, diceva il grande Marco Ferreri, ma l’arte (cinematografica e non) andrebbe valutata non tanto per quello che esprime ma per come lo esprime.
Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote ad Aristan)

“Tutti con l’ambizione di dare il meglio di sé, a volte riuscendoci, a volte col rischio di strafare e svaccare, però impegnati a sbizzarrirsi nel perfezionare o rinnovare il linguaggio delle immagini, come il nostro Mainetti col bizzarro “Freaks out”.”
Da VENEZIA È DONNA – Editoriale di Fabio Canessa (Preside del Liceo Olistico Quijote ad Aristan)

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