Dopo tanti anni ho ripreso in mano “Pelle di leopardo”, il primo libro di Tiziano Terzani, lunga cronaca dei fatti che precedettero e seguirono la vittoria del fronte comunista vietnamita sul governo filoamericano del sud. Mentre tutti fuggivano appesi agli elicotteri Terzani rimase a Saigon, clandestino, e fu testimone per Der Spiegel del declinarsi rivoluzionario, i primi, pacifici gesti che avrebbero plasmato come argilla la società in una forma nuova. La simpatia per i bo-doi, i soldatini smagriti figli del vecchio Ho Chi Minh, non impedirono a Terzani di annusare la fregatura dietro l’angolo. La “rozza materia”, scrisse Pasternak, che si ottiene quando le utopie vengono infilate nel forno della storia. Oggi è quasi impossibile leggere un reportage dove l’io del giornalista non sia preponderante. Sinestesie, melensi sentimentalismi, abborracciate analisi di un tessuto politico privo di profondità storica. Terzani registra i fatti, li accosta, si assenta. A pagina 313 comincia un lungo monologo, “L’autobiografia di un combattente”, resoconto dei 30 anni rivoluzionari di Nguyen Huu Thai, docente di lettere al liceo e vietcong dai tempi del colonialismo francese. Quattro pagine di galera, fame, speranze, solitudine, tortura e morte. Terzani scrive per coloro che “lontano da qui di rivoluzione si riempiono la bocca”. Era la fine degli anni 70’ e in occidente si cianciava e si terrorizzava. Già allora la rivoluzione era gesto sportivo. Oggi, con la facoltà di rendere pubblico il proprio pensiero, negli stessi luoghi dove appare questo editoriale, dallo sport si è passati alla poltrona del parrucchiere, ennesimo stadio nello scivolamento verso l’inesistenza. Rivoluzionari con il culo degli altri. Esseri umani con il culo degli altri. Prima di andarsene per sempre Terzani diventò “Anam”, il senza nome. Era già stato tutti i nomi possibili.
Luca Foschi
(Corniciaio di guerra)
COGLI L’ATTIMO
la caduta di Saigon e l’arrivo del Khmer rossi nelle parole di Tiziano Terzani