Il COVID sta facendo strame di molta della retorica che ci ha fatto compagnia negli ultimi decenni. Prendete ad esempio il mito della speranza di vita che si allunga all’infinito, soprattutto in alcune aree del mondo (“blue zones”, la Sardegna è una di queste). Quanti hanno davvero pensato che in uno di questi luoghi avrebbero vissuto felici in eterno? Quanti hanno creduto (anche a questo serve la scienza) che bastava mangiare il minestrone di zio Doddore per campare cent’anni (un piatto di fagioli al giorno garantiva due anni di vita in più)? Poi è arrivato il COVID. Se ne parlerà ancora di vecchiaia infinita quando i vecchi si conteranno sulla punta delle dita? La morte si è impegnata in quello che gli epidemiologici un tempo non avevano pudore a chiamare “harvest” (il raccolto, la vendemmia), le è bastato un soffio per far cadere dagli alberi tutte le pere mature. Ultranovantenni o centenari in condizioni di salute disastrose, afflitti da patologie concomitanti, senza accesso all’assistenza sanitaria o privi di cure mediche, abbandonati da figli e nipoti al loro destino o malamente sopportati, altro che “blue zones”. Ci lamentiamo perché il COVID ci ha rovinato il Natale? Gesù Bambino, fa che non ci vengano mostrati più dépliant turistici con centenari che circolano in bicicletta in Sardegna in strade deserte, per favore.
Marco Schintu (Ufficio pesi e misure di Aristan)
“Quanti hanno creduto (anche a questo serve la scienza) che bastava mangiare il minestrone di zio Doddore per campare cent’anni (un piatto di fagioli al giorno garantiva due anni di vita in più)?”
Da COVID-19, L’ANTIRETORICO – Editoriale di Marco Schintu (Ufficio pesi e misure di Aristan)