* Trovate i suoi dialoghi con Antonangelo Liori ogni domenica sui social dell’Università di Aristan
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Anno accademico 2024/25 – lezione n°2: “I misteri della pareidolia” tenuta da Romolo Capuano, Benito Urgu e Luca Cocco il 19 dicembre presso l’Aula magna del Seminario Arcivescovile di Cagliari. Recensione di Albo Valdes
L’abisso, alla fine, non sarà un tasto di pianoforte. E tuttavia Dostoevskij non si sbagliava quando parlava di umanità come puntine di organetto schiacciate. Ci sono voluti oltre centosessant’anni e lo sguardo incantato di un grande poeta-attore, un esploratore di eroiche sottoesistenze, per aprire finalmente la quarta dimensione delle Memorie dal sottosuolo dello scrittore russo. Ce lo rivela infatti un recondito, grandioso, Benito Urgu. Poeta. Sì, non comico, non cabarettista, non barzellettiere. No, un toccante poeta che solo lo stato di Aristan può accogliere e donare al mondo. Dunque, siamo tasti di pianoforte. Non è il male peggiore, caro Fedor, basta sapere stonare, puntare tutto sull’errore. È l’invito di Benito, un fuoriclasse nella struggente seconda lezione dell’Università-polis, con la sonorità della sua voce creativa che nessun tecnico può fissare e riprodurre. Quel suono arriva dalle profondità della vita e tocca le nuvole. Quelle stesse di Jago e Otello, stupendi burattini in discarica, che scoprono la magnificenza della bellezza pasoliniana. Meglio essere suonati. Sbagliati e spiazzanti. Lo ammetterebbe anche Fedor, oggi. Esseri diversi che non precipitano nella piccolissima visione del senso comune, del piattismo di un’epoca senza sogni. Benito Urgu è l’imperfezione scomoda. Quella della poesia che impaurisce perché squarcia la banalità. Quale rassicurazione, quale stabilità potrà mai garantire l’invito a entrare in una pietra? Non è uno scherzo. È tutto concretamente sconcertante: se vuoi salvarti e salvare il pensiero, questa è l’iniziazione ineluttabile:
(…) Entra dentro un sasso e goditi il silenzio che possiede
Ti regalerà i valori dell’essenza, dell’umiltà
Tutta la sua forza e ti dirà cosa è l’eternità
I sassi, guardano ascoltano, raccontano perché sono vivi
Siediti su un sasso, chiudi gli occhi, rilassati
Respira profondamente rivolgendo il pensiero verso l’alto
Ti sentirai diverso
perché tu sei l’universo
Quanta forza sprigiona la consapevolezza di <sentirsi diversi> tra i tasti bianchi del pianoforte. E poi chiudere gli occhi guardando perché avvenga quel leopardiano Io nel pensier mi fingo che apre l’indeterminato. L’infinito della nota dissonante. Lo sbaglio tra gli 88 denti del piano è quel tasto nero che combatte l’idiozia. L’alterazione di tono e l’errore indelebile nel pentagramma sono le armi. In una parola: la pareidolia.
È qui che si manifesta la distanza tra l’altrove, fluttuante, di Aristan e il vuoto delle burocrazie riconosciute. Le grandi istituzioni del mondo hanno imposto i loro vocaboli dell’anno. Oxford University si è invaghita di Brain Rot (putridume del cervello); Treccani lancia Rispetto; Demure (sobrio, riservatezza) per Dictionary.com; Brat (sfacciataggine), Collins Dictionary. L’australiano Macquarie va sul rozzo: enshittification (merdificazione). Lo specchio di una assenza di creatività, vuoto perpetuo di poesia, epocale e mai abbastanza miserabile come ricorda il Manifesto di Aristan. La scelta tracciata dell’Università Senza Sede è proprio altra, è quella del lessico fantastico di Benito, della grazia che ci trasforma in opere d’arte. È appunto la contagiosa pareidolia, parola di Aristan che preferisce un virus: quell’illusione immaginifica che permette di vedere altre esistenze <in una macchia su un muro. Che altro non è che una macchia>. Così Romolo Capuano, sociologo e criminologo, vicino a Benito e a Luca Cocco nella sala del Seminario arcivescovile di Cagliari. Capuano puntualizza bene come nella pareidolia è strategica la funzione adattiva. Oggi più di ieri. <Nei tempi della nostra preistoria era meglio scorgere nella boscaglia un’immagine di tigre che non c’è piuttosto che non vedere la tigre che c’è>. Istinto di salvezza. Proprio come sopravvivere in una giungla di brutture diventa oggi l’unica vera missione. E così tutta quell’apparizione fuggente nel teatro di via monsignor Cogoni, corre altrove. Veloce, galoppa per l’incontro con la vita dove tutto appare e scompare. Dice il grande Benito: <Un viaggio nel silenzio, all’infinito> dove potresti anche incontrare (…) L’anima di un cavallo e di chi crede che non pensa.
L’anima di un cavallo e di chi crede che non pensa
In lui noi non entriamo
È bello, corre e salta.
È mio e basta.
Non c’è rispetto
per chi fa il cavallo
Adottiamo la schiavitù di chi non parla>
Un mondo stupendo e sconvolgente, meravigliosamente al contrario, questo sì, perché dove c’è poesia abita l’impossibile: puoi anche (…)Parlare di quel mostro senza gambe
Con un occhio nella coda
Che parla da un orecchio
Perché non ha la bocca
E non sente ciò che dice
E tutto ciò che dice
Non ha senso
perché non c’è nessuno ad ascoltare
Un albero di mele che dà fichi
Zucchine col sapore di banane (…)
Benito Urgu è il ritmo meraviglioso, l’errore dell’arte. Legge il mondo, la gente, e sa ascoltare. Proprio come Danny Boodman T.D. Lemon Novecento. E sia. Pareidoliamo davanti a La leggenda del pianista sull’oceano e alla sua musica. <Novecento-Urgu un genio, niente da dire. Sa ascoltare. E sa leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sa leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia… Tutta scritta, addosso>. Benito è la nota sbagliata di The Crisis, Morricone, un capolavoro irraggiungibile. In lui, diesis e bemolle, si manifesta la continuità territoriale della poesia. Ecco perché la pareidolia ci offre <un’immagine che buca il tempo e trasforma lo spazio. Ci abitua a vedere il nostro mondo verde, anche se è grigio e popolato da brutture. Anche se ogni bellezza sembra assottigliarsi>.È il Tagliagambe filosofo ed epistemologo a ripercorrere l’essenza dell’imperfezione. Gli errori vivi come Benito <sono messaggeri che ci danno insegnamenti per sopravvivere>. Ci permettono di vedere la tigre contemporanea. L’arte dal significato profondissimo. Insomma la pareidolia è l’unica e vera continuità territoriale per non residenti. Ti porta oltre, dove il nulla è, lì c’è tutto. Un viaggio verso la luccicanza degli occhi bambini di un grande poeta-attore, esploratore di sottoesistenze.
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