O MISCTERO DI SCBAT MMAN


Editoriale dell'8 gennaio 2025

Credo che sia stato un abruzzese il primo a pensare di risolvere il problema della discriminazione di genere a livello grammaticale sostituendo lo schwa alle vocali finali dei sostantivi, articoli e aggettivi maschili riferiti a individui di sesso sia maschile che femminile (la schwa è la “e” rovesciata di 180° la cui pronuncia corrisponde al suono finale della parola inglese “mother” o della parola napoletana “jamm”). Me ne sono persuasa da poco, durante un incontro di famiglia nel quale abbiamo ricordato i pranzi di Natale dell’infanzia con i nonni e gli zii materni tutti originari di Guardiagrele, in provincia di Chieti. 

Nicoletta e Carmine – così si chiamavano i miei nonni – usavano un’unica vocale finale per pronunciare i sostantivi, sia maschili che femminili, sia singolari che plurali; erano gli articoli determinativi e indeterminativi a indicare il genere e il numero dei nomi che terminavano sempre con uno schwa.  E così noi nipoti eravamo tutti, maschi e femmine, singolarmente o in gruppo, “citelə” (bambinetto/a) fino ai cinque-sei anni e poi diventavamo “bardascə” (ragazzino/a). Quando poi la famiglia si riuniva, tutti i sette figli, che normalmente parlavano un italiano senza inflessioni, assecondavano i genitori e nella cucina e nella stanza da pranzo non si sentiva altro che “pigliə  lu ponə”,  “buttə la pastə”, “dammə ‘nu cultellə”, ‘na furchettə” e così via. Un bel risparmio di vocali e nessuna difficoltà di comprensione tranne quando i miei nonni nominavano i nipoti “Rubbertə” che in realtà erano un nipote, mio cugino Roberto, e una nipote, mia sorella Roberta. Allora erano necessarie postille del tipo “lu fìjə də Vittoriə” che grazie all’articolo determinativo e al nome del genitore ci facevano capire che si trattava del maschio. In quelle occasioni io mi sentivo poliglotta, immersa in una lingua che non era la mia ma che capivo abbastanza bene.

Se la proposta di neutralizzare il “maschile sovraesteso” con lo schwa (dal’ebraico “shĕvā” che significa zero o nulla) non fosse finita nel nulla, autodistrutta per impraticabilità morfo-sintattica, avrei potuto esibire la mia pronuncia impeccabile appresa dai nonni abruzzesi per rivolgermi inclusivamente a studentə, amicə e condominə. Invece il mia schwa mi è servito di recente  per godermi con gli amici la lettura di alcuni componimenti di Scherto da Gierbino, inventore di un linguaggio ispirato anche all’abruzzese oltre che al campano, e che nel 2008 fu rilanciato da Barbara Alberti e Massimiliano Parente curatori per Coniglio Editore di un libro che raccoglieva le sue poesie. Ecco uno stralcio da uno dei componimenti, “Batman – il mistero” (la sostituzione dello schwa alle vocali finali è indispensabile per apprezzare a pieno la poesia).

SCBAT MMAN (O MISCTERO)

Ma pecché pruprio i nu pipisctrillo, sà voluto abbardascià scbat mman?

Cà la mursu nu pipisctrillo comme a scpidèmmèr lu ragn, comm’ à l’omm musca à musca?

Cà ca tinìv inta a cap, scbat mman

Cà ca tiniv, cà nun tiniv nisciun superputere

Pa decidiss, nu jurn, d’abbardasciasse prupri’a pipisctrillo?

Cà simo a carnivale?

Chisto è o misctero di scbat mman

Cà nun sa sa cumm’cazz gli à passat’in ta la cap

Da esse’ pruprio nu pipisctrillo.

Editoriale di Marianna Vitale (Spigolatrice di Aristan)

“Se la proposta di neutralizzare il “maschile sovraesteso” con lo schwa (dal’ebraico “shĕvā” che significa zero o nulla) non fosse finita nel nulla, autodistrutta per impraticabilità morfo-sintattica, avrei potuto esibire la mia pronuncia impeccabile appresa dai nonni abruzzesi per rivolgermi inclusivamente a studentə, amicə e condominə.” Da O MISCTERO DI SCBAT MMAN – Editoriale di Marianna Vitale (Spigolatrice di Aristan)

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