Casimiro era un giovane alto, di sana e più che robusta costituzione, il quale d’estate e nelle belle giornate d’inverno faceva i bagni nelle acque del Molo di Levante del porto di Cagliari. Si era fatto tatuare sul petto una faccia con sembianze umane e feline: quelle di Casimiro e quelle di un leone ruggente. Quel tatuaggio, che si estendeva sino alla tartaruga degli addominali, ricordava la Carranca: la faccia spaventosa, intagliata sul legno che veniva apposta sulla prua delle antiche navi a vela portoghesi o brasiliane. Secondo Casimiro quel tatuaggio era un talismano che aumentava il suo potere seduttivo sulle ragazze del Poetto. Sui bagnanti del porto, rigorosamente maschi, quel tatuaggio suscitava commenti ironici ed era all’origine del soprannome di Casimiro.
D’inverno Casimiro divideva le sue esuberanti energie tra le lezioni all’università, i balli in una balera degli universitari di Cagliari e la caccia amorosa alle studentesse di una scuola Magistrale.
L’ultima caccia finì col cacciatore preda di una graziosa brunetta sarda più seducente delle alte e spaziose bionde svedesi, la quale impose a Casimiro, come prova d’amore: di conseguire la laurea in medicina, di sposarla (in chiesa!), di smetterla con le avventure amorose e con i bagni al Molo di Levante, perlomeno durante l’inverno!
Quella, graziosa, ragazza sarda, di cui non riferisco il nome per proteggere l’identità di Casimiro, (così si scrive nelle cronache giudiziarie) ha avuto un ruolo determinante nella storia di questo Farfallone Amoroso. Qualche anno dopo il matrimonio del Dottore Casimiro C. e la Dottoressa Innominata (si era laureata in lettere), Casimiro venne a trovarmi all’Istituto di Farmacologia. Sembrava angosciato: «mia moglie mi ha lasciato, ha scoperto che l’ho tradita con una ragazza svedese. Ho chiesto perdono. Mi ha riso in faccia: “Ti ho già perdonato per cinque volte! Questa volta neanche in punto di morte!”». Piangendo mi disse: «Devo compiere un atto estremo! Aiutami a suicidarmi!» Poneva come condizione che la “mia medicina” non lo ammazzasse, ma che il suo suicidio fosse credibile: «mi sotterro se mi svegliano con uno schiaffo o con una secchiata d’acqua!»
Mi lasciò piangendo con una battuta: «se muoio ti tolgo il saluto!» Nei giorni successivi leggevo con trepidazione i necrologi dell’Unione Sarda: nessun Casimiro. Sperai che avesse cambiato programma quando, percorrendo a tarda sera una stradina buia dietro l’Istituto, individuai una coppia di innamorati, strettamente abbracciati. Riconobbi Casimiro e la moglie! Casimiro sollevò furtivamente la mano destra dietro la testa della donna e, congiungendo la punta dell’indice e del pollice, compose una grande “O”, che agitò con un gesto gioioso di vittoria!
Quando venne a trovarmi, il giorno dopo, gli chiesi perché si trovasse a fare l’amore in quella strada. «È lì che tutto è cominciato, lì abbiamo festeggiato la resurrezione!»
Gianluigi Gessa (Neuroscienziato di Aristan)
“L’ultima caccia finì col cacciatore preda di una graziosa brunetta sarda più seducente delle alte e spaziose bionde svedesi” – Da MORTE E RESURREZIONE DI CASIMIRO CARRANCA – Editoriale di Gianluigi Gessa (Neuroscienziato di Aristan)