Può sembrare strano che in una “enciclica” del papa si possano leggere frasi in un italiano leggibile e leggero come segue:
«Nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore. Ciò che nessun algoritmo potrà mai albergare sarà, ad esempio, quel momento dell’infanzia che si ricorda con tenerezza e che, malgrado il passare degli anni, continua a succedere in ogni angolo del pianeta. Penso all’uso della forchetta per sigillare i bordi di quei panzerotti fatti in casa con le nostre mamme o nonne. È quel momento di apprendistato culinario, a metà strada tra il gioco e l’età adulta, in cui si assume la responsabilità del lavoro per aiutare l’altro. Come questo della forchetta, potrei citare migliaia di piccoli dettagli che compongono le biografie di tutti: far sbocciare sorrisi con una battuta, tracciare un disegno al controluce di una finestra, giocare la prima partita di calcio con un pallone di pezza, conservare dei vermetti in una scatola di scarpe, seccare un fiore tra le pagine di un libro, prendersi cura di un uccellino caduto dal nido, esprimere un desiderio sfogliando una margherita. Tutti questi piccoli dettagli, l’ordinario-straordinario, non potranno mai stare tra gli algoritmi. Perché la forchetta, le battute, la finestra, la palla, la scatola di scarpe, il libro, l’uccellino, il fiore… si appoggiano sulla tenerezza che si conserva nei ricordi del cuore.
22. Per questo motivo, vedendo come si susseguono nuove guerre, con la complicità, la tolleranza o l’indifferenza di altri Paesi, o con mere lotte di potere intorno a interessi di parte, viene da pensare che la società mondiale stia perdendo il cuore. Basta guardare e ascoltare le donne anziane – delle varie parti in conflitto – che sono prigioniere di questi conflitti devastanti. È straziante vederle piangere i nipoti uccisi, o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto. Esse, che tante volte sono state modelli di forza e resistenza nel corso di vite difficili e sacrificate, ora che arrivano all’ultima tappa della loro esistenza non ricevono una meritata pace, ma angoscia, paura e indignazione. Scaricare la colpa sugli altri non risolve questo dramma vergognoso. Veder piangere le nonne senza che questo risulti intollerabile è segno di un mondo senza cuore».
Parole tolte dalla lettera enciclica su «L’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo», che Papa Francesco ha scritto il 24 ottobre scorso, e che diversamente dalla tradizione non elenca destinatari nel suo titolo: in realtà è una lettera “ad intra”, destinata a “rileggere” nel mondo di oggi “senza cuore” tutta la storia della “devozione al Sacro Cuore”. Può anche darsi che la maggior parte dei lettori non vada oltre le parole della prima parte che abbiamo riportato, dove il papa cita letterati e filosofi, passando da Dostoevskij a Heidegger e Michel de Certeau. Per questo, ecco come il papa conclude la sua lettera con una semplice preghiera che comincia anch’essa con un linguaggio diverso dalle bene note cattoliche “preghiere di riparazione”:
«Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo
scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva
per guarire le ferite che ci infliggiamo…».
In un mondo detto senza cuore,
un “cuore che parla al cuore”, Signore,
fa ancora respirare.
Antonio Pinna (Salmista ad Aristan)