Cari docenti che vi preparate al rito palloccoloso degli scrutini, vi esorto a non essere troppo mollaccioni nella valutazione. La scuola italiana è afflitta da tempo da un melenso lassismo travestito da generosità che ha fatto più danni della grandine. Se l’elenco dei voti che presenterete venisse letto pubblicamente in uno stadio gremito, la folla urlerebbe eccitata incitando alla bocciatura di un terzo degli studenti. Nella mesta aula del consiglio, invece, il pietismo mammone trasforma ed elimina quintali di insufficienze, almanaccando attenuanti contraddittorie: Pierino non si boccia anche se non studia perché è intelligente, Pierone non si boccia anche se è scemo perché studia, Pieraccio non si boccia anche se non studia ed è scemo perché i genitori sono separati, Pierotto non si boccia anche se non studia, è scemo e i genitori stanno insieme perché più di così non può fare, Pieretto non si boccia anche se non studia, è scemo, i genitori stanno insieme e può fare di più proprio perché impegnandosi il prossimo anno potrebbe andare bene. Ora, è vero che la folla è un giudice così accalorato e poco lucido da aver scelto Barabba, ma voi non è che scegliereste Gesù: salvereste tutti, compresi i due ladroni, e trovereste giusto dare una possibilità (così dite spesso: diamogli una possibilità) allo stesso Satana che, se si impegna, ha di certo le capacità di fare meglio in futuro. Non agitate lo spettro dei ricorsi, anzi che i ricorsi siano benvenuti: se avete lavorato coscientemente senza ombre malmostose, non avete niente da temere; se c’è stato un errore (ma sarà difficile), il ricorso ci permetterà di correggerlo e sarà per me un piacere scusarmi a nome della scuola. Soprattutto non trinceratevi dietro il grottesco alibi che in passato avete promosso studenti ben peggiori: essere stati complici di una pagliacciata non ci autorizza a ripeterla per sempre. Non è il caso di aggiungere trucco al clown.
Fabio Canessa
(Preside del Quijote, Liceo Olistico di Aristan)
COGLI L’ATTIMO
Da Il giudizio universale (1961) diretto da Vittorio De Sica. Da un soggetto e una sceneggiatura di Cesare Zavattini